domenica 20 settembre 2009

E se il galeotto andasse al mare?


Giocare ai pirati sulle isole che furono luogo di detenzione oggi sono capolavori di arte e integrazione culturale

Lo so, sono mancata un po’ in questi giorni … mi sono dedicata alla lettura di “In Asia” di Tiziano Terzani, e ho avuto modo di riflettere sul fatto che moltissimi luoghi tra i più belli d’Italia, ma non solo, sono stati terra di reclusione.
Mi spiego meglio. Siete mai stati su un’isola così affascinante da volerne sapere tutta ma propria tutta la storia? E vi è mai capitato di scoprire che la vostra isola è stata il “rifugium peccatorum” di galeotti, malfattori, relegati in mezzo al mare perché non nuocessero più a nessun abitante della terraferma.

A me è successo quest’estate.

Leggo di Sakhalin*, un’isola antistante alla costa orientale russa e a soli 40 km dall’arcipelago nipponico. Da sempre terra di conquista per via dei suoi immensi bacini minerari e le foreste di conifere, Sakhalin si è vista prima dividere fra U.R.S.S. e Impero del Sol levante, per poi essere assoggettata dalla bandiera comunista fino al 1989. Con la caduta della cortina di ferro si sono aperte le frontiere, e dal 1989 qualche primo turista l’ha potuta raggiungere dal Giappone- In realtà si tratta di una terra di nessuno. Il suo nome significa in cinese – furono loro i primi a raggiungerla oltre mille anni fa – “la terra dei diavoli vaganti” e un antico anatema antico l’ha resa sterile per qualunque futuro conquistatore. Una “terra al confine del mondo” con nessuna speranza per assassini, rivoluzionari e prostitute che vi venivano relegate ancora fino a oltre 60 anni fa, mentre oggi Sakhalin è un giacimento straordinario per oro nero, pesca e allevamento, da esplorare per chi vuole andare alla ricerca dei luoghi in cui si avventurarono anche Anton Cechov e Tolstoj e èper chi vuole ritrovare i propri avi.

Ma senza andare così lontano, anche l’Italia ha le sue Isole per galeotti. Ne avevo “sentito parlare sui libri”: l’Isola di Montecristo, L’Asinara - colonia penale e isola magnifica con i ciuchini albini (se vi capita, costeggiatela in barca a vela!) – ma non conoscevo San Nicola, primo obiettivo del mio recente viaggio alla scoperta della Puglia.

Dopo un’ora di attesa alla banchina di Termoli e un’altra di viaggio, finalmente l’approdo all’Isola di San Domino,la maggiore delle Isole Tremiti e, giusto di fronte a questa perla verde attorniata da un’acqua color opale, ecco San Nicola. Non c’è verso, io voglio arrivare lì.
Giro in barchino in tutto e per tutto turistico (non mancano gli esempi classici dell’”italiano in vacanza” – dalla famiglia del sud che urla “un applauso al comandante”, alla coppietta innamorata estasiata dal colore del mare, alla tettona rifatta-nonostante-tutto-non-mi-scompongo, alle vecchiette ancorate alla barca che dicono “signur che belo”. San Nicola si avvicina con la sua microscopica spiaggetta e le mura che risalgono la china del monte.

Come un crociato, voglio espugnare quell’isola, unica delle Tremiti che rechi tracce di storia e vita. Il comandante del barchino ci avvisa che San Nicola è stata costruita dai monaci benedettini, e che d’inverno è abitata da solo 20 persone. Nonostante il caldo, decido di andare oltre.
Risalgo lungo il lastricato medievale, oltrepasso la prima porta dedicata al valore dei guerrieri contro i Saraceni (l’atavico conflitto Cristianesimo – Islam) e mi imbatto nel minuscolo centro abitato. Lì si fermano i turisti, io voglio vedere la chiesa. La chiesa di Santa Maria a Mare è un capolavoro dell’arte e dell’integrazione: pavimento musivo, soffitto ligneo dipinto e un crocefisso bizantino. Ma c’è molto di più: risalendo l’isola attratta dal paesaggio marino sempre più alto e mozzafiato, scopro un’incessante serie di chiostri e biblioteche, pozzi, di epoca diversa. Dal Rinascimento al ‘700, fino all’epoca di Omero. Pare che qui sia stato sepolto niente meno che l’eroe greco Diomede – da cui l’altro nome di “Diomedee”. Dall’alto si scorgono le isole del Cretaccio e della Vecchietta. Pare che nelle notti di tempesta si vedano qui i fantasmi di una poverina che fila, e di una condannato, con la testa sotto al braccio, che vi venne decapitato per avere provato un’inutile fuga.

Le Tremiti sono gioiello di smeraldo e opale immersi nella solitudine e nel silenzio. Oggi preziosi per i vacanzieri alla ricerca di relax, ma un tempo tutto ciò era motivo di sofferenza e privazione.
Pianosa è lontana e disabitata, la terraferma ancor di più. Scopro allora che anche qui vennero detenuti prigionieri e avversari politici fin dalla colonia penale istituita nel XVIII secolo, napoletani tratti dai bassifondi obbligati a ripopolare l’Isola, libici e persino i confinati partigiani (c’era anche Sandro Pertini).

E allora, per mantenere un ricordo sereno di un luogo incantevole ma pieno di dolore, manifestato con speranza nelle sue espressioni d’arte e architettura, penso a questa immagine: e se il galeotto se ne fosse andato al mare?.

*Tiziano Terzani, “In Asia”, TEA, 2008

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