Giocare ai pirati sulle isole che furono luogo di detenzione oggi sono capolavori di arte e integrazione culturale
Lo so, sono mancata un po’ in questi giorni … mi sono dedicata alla lettura di “In Asia” di Tiziano Terzani, e ho avuto modo di riflettere sul fatto che moltissimi luoghi tra i più belli d’Italia, ma non solo, sono stati terra di reclusione.
Mi spiego meglio. Siete mai stati su un’isola così affascinante da volerne sapere tutta ma propria tutta la storia? E vi è mai capitato di scoprire che la vostra isola è stata il “rifugium peccatorum” di galeotti, malfattori, relegati in mezzo al mare perché non nuocessero più a nessun abitante della terraferma.
A me è successo quest’estate.
Leggo di Sakhalin*, un’isola antistante alla costa orientale russa e a soli 40 km dall’arcipelago nipponico. Da sempre terra di conquista per via dei suoi immensi bacini minerari e le foreste di conifere, Sakhalin si è vista prima dividere fra U.R.S.S. e Impero del Sol levante, per poi essere assoggettata dalla bandiera comunista fino al 1989. Con la caduta della cortina di ferro si sono aperte le frontiere, e dal 1989 qualche primo turista l’ha potuta raggiungere dal Giappone- In realtà si tratta di una terra di nessuno. Il suo nome significa in cinese – furono loro i primi a raggiungerla oltre mille anni fa – “la terra dei diavoli vaganti” e un antico anatema antico l’ha resa sterile per qualunque futuro conquistatore. Una “terra al confine del mondo” con nessuna speranza per assassini, rivoluzionari e prostitute che vi venivano relegate ancora fino a oltre 60 anni fa, mentre oggi Sakhalin è un giacimento straordinario per oro nero, pesca e allevamento, da esplorare per chi vuole andare alla ricerca dei luoghi in cui si avventurarono anche Anton Cechov e Tolstoj e èper chi vuole ritrovare i propri avi.
Ma senza andare così lontano, anche l’Italia ha le sue Isole per galeotti. Ne avevo “sentito parlare sui libri”: l’Isola di Montecristo, L’Asinara - colonia penale e isola magnifica con i ciuchini albini (se vi capita, costeggiatela in barca a vela!) – ma non conoscevo San Nicola, primo obiettivo del mio recente viaggio alla scoperta della Puglia.
Dopo un’ora di attesa alla banchina di Termoli e un’altra di viaggio, finalmente l’approdo all’Isola di San Domino,la maggiore delle Isole Tremiti e, giusto di fronte a questa perla verde attorniata da un’acqua color opale, ecco San Nicola. Non c’è verso, io voglio arrivare lì.
Giro in barchino in tutto e per tutto turistico (non mancano gli esempi classici dell’”italiano in vacanza” – dalla famiglia del sud che urla “un applauso al comandante”, alla coppietta innamorata estasiata dal colore del mare, alla tettona rifatta-nonostante-tutto-non-mi-scompongo, alle vecchiette ancorate alla barca che dicono “signur che belo”. San Nicola si avvicina con la sua microscopica spiaggetta e le mura che risalgono la china del monte.
Come un crociato, voglio espugnare quell’isola, unica delle Tremiti che rechi tracce di storia e vita. Il comandante del barchino ci avvisa che San Nicola è stata costruita dai monaci benedettini, e che d’inverno è abitata da solo 20 persone. Nonostante il caldo, decido di andare oltre.
Risalgo lungo il lastricato medievale, oltrepasso la prima porta dedicata al valore dei guerrieri contro i Saraceni (l’atavico conflitto Cristianesimo – Islam) e mi imbatto nel minuscolo centro abitato. Lì si fermano i turisti, io voglio vedere la chiesa. La chiesa di Santa Maria a Mare è un capolavoro dell’arte e dell’integrazione: pavimento musivo, soffitto ligneo dipinto e un crocefisso bizantino. Ma c’è molto di più: risalendo l’isola attratta dal paesaggio marino sempre più alto e mozzafiato, scopro un’incessante serie di chiostri e biblioteche, pozzi, di epoca diversa. Dal Rinascimento al ‘700, fino all’epoca di Omero. Pare che qui sia stato sepolto niente meno che l’eroe greco Diomede – da cui l’altro nome di “Diomedee”. Dall’alto si scorgono le isole del Cretaccio e della Vecchietta. Pare che nelle notti di tempesta si vedano qui i fantasmi di una poverina che fila, e di una condannato, con la testa sotto al braccio, che vi venne decapitato per avere provato un’inutile fuga.
Risalgo lungo il lastricato medievale, oltrepasso la prima porta dedicata al valore dei guerrieri contro i Saraceni (l’atavico conflitto Cristianesimo – Islam) e mi imbatto nel minuscolo centro abitato. Lì si fermano i turisti, io voglio vedere la chiesa. La chiesa di Santa Maria a Mare è un capolavoro dell’arte e dell’integrazione: pavimento musivo, soffitto ligneo dipinto e un crocefisso bizantino. Ma c’è molto di più: risalendo l’isola attratta dal paesaggio marino sempre più alto e mozzafiato, scopro un’incessante serie di chiostri e biblioteche, pozzi, di epoca diversa. Dal Rinascimento al ‘700, fino all’epoca di Omero. Pare che qui sia stato sepolto niente meno che l’eroe greco Diomede – da cui l’altro nome di “Diomedee”. Dall’alto si scorgono le isole del Cretaccio e della Vecchietta. Pare che nelle notti di tempesta si vedano qui i fantasmi di una poverina che fila, e di una condannato, con la testa sotto al braccio, che vi venne decapitato per avere provato un’inutile fuga.
Le Tremiti sono gioiello di smeraldo e opale immersi nella solitudine e nel silenzio. Oggi preziosi per i vacanzieri alla ricerca di relax, ma un tempo tutto ciò era motivo di sofferenza e privazione.
Pianosa è lontana e disabitata, la terraferma ancor di più. Scopro allora che anche qui vennero detenuti prigionieri e avversari politici fin dalla colonia penale istituita nel XVIII secolo, napoletani tratti dai bassifondi obbligati a ripopolare l’Isola, libici e persino i confinati partigiani (c’era anche Sandro Pertini).
E allora, per mantenere un ricordo sereno di un luogo incantevole ma pieno di dolore, manifestato con speranza nelle sue espressioni d’arte e architettura, penso a questa immagine: e se il galeotto se ne fosse andato al mare?.
*Tiziano Terzani, “In Asia”, TEA, 2008
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